Jihad in occidente: una questione di numeri

Il mondo musulmano ha gioventù, numeri e ambizioni globali. L’Occidente sta diventando vecchio e debole, e manca della volontà di respingere chi desidera soppiantarlo. E’ la fine del mondo come lo conosciamo.

L’11 Settembre non è stato “il giorno che ha cambiato tutto, ma il giorno che ha rivelato come le cose fossero, in realtà, già cambiate da tempo. Il 10 Settembre 2011, quanti giornalisti conoscevano il CAIR (Concilio delle Relazioni Americano-Islamiche) o il Congresso Islamico Canadese o ancora il Consiglio Musulmano in Bretagna? Se avessimo detto che la principale dinamica politica del 21° secolo in Danimarca, Svezia, Olanda, Belgio, Francia e Regno Unito, e più in generale in tutto il mondo Occidentale sarebbe ruotata attorno alla problematica del “se qualcosa causa o non causa offesa ai Musulmani’, la maggior parte della gente ci avrebbe presi per folli. Ciononostante quel Martedì mattina la punta dell’iceberg è emersa e ha fatto crollare le Torri Gemelle.

Purtroppo i 7/8 dell’iceberg sono sotto la superficie, e rappresentano le maggiori forze in gioco nel mondo sviluppato, le stesse che hanno lasciato l’Europa troppo indebolita per permetterle di resistere alla sua impietosa trasformazione in Eurabia. Esse, di fatto, mettono in dubbio il futuro stesso di buona parte del resto del mondo. I fattori chiave sono: declino demogragico; immigrazione di massa, insostenibilità dello stato sociale in un paese democratico e l’esaurimento della spinta civile.

Cominciamo con la demografia, perché tutto comincia da essa:

Se la tua scuola conta 200 ragazzi e stai giocando contro una scuola con 2000 studenti, questo non implica necessariamente che la tua squadra di baseball perderà ma, certamente, il divario numerico da agli altri un vantaggio significativo. Allo stesso modo, se vuoi dare vita ad una rivoluzione, essa sarà poco probabile se disponi soltanto di 7 rivoluzionari (per giunta ultra-ottantenni). Ma se, per ipotesi, il tuo popolo conta due milioni di persone e, tra loro, settemila rivoluzionari tutti sotto i trent’anni, allora se ne può parlare.

La caratteristica principale dell’Europa, del Canada e della Russia è che in questi paesi i bebè scarseggiano. Quello che sta accadendo nel mondo sviluppato è una delle più rapide involuzioni demografiche della storia. Quanti di noi non hanno visto toccanti commedie etniche come “il Mio Grosso Grasso Matrimonio Greco” e simili. Il copione è quasi sempre lo stesso: un giovanotto si innamora di una ragazza proveniente da una vasta, amabile e feconda famiglia Mediterranea, così abbondantemente straripante di sorelle, cugine e zii, che a malapena si riesce a stare tutti in una stanza. Questo è, nei fatti, il contrario della verità. La Grecia ha un tasso di fertilità che galleggia appena sotto gli 1.4 figli per coppia, il che è quello che i demografi chiamano il “punto di non ritorno”, cioè il tasso di fertilità da cui nessuna società umana si può riprendere.
Senza contare che la fertilità della Grecia è, tra l’altro, la più salutare in tutta l’Europa Mediterranea.
L’Italia e la Spagna hanno un tasso di fertilità di 1,3.
In tutto il mondo sviluppato, quei cittadini che hanno “grandi” famiglie sono gli anglo democratici: la fertilità dell’America è 2,1, la Nuova Zelanda leggermente più in basso. Volendo rispecchiare la realtà dei fatti, Hollywood dovrebbe produrre una pellicola intitolata “Il mio Grosso Grasso Rigido e Convenzionale Matrimonio Protestante” in cui un triste e solitario figlio unico Greco si sposa in una “grande” e accogliente famiglia Neo Zelandese dove la sposa riesce a malapena ad avere una paggetta, la sorella.

Come dicevo, questa non è una proiezione: sta accadendo adesso. Non ci sarebbe bisogno di estrapolare e snocciolare noiosi dati numerici, anche perché farlo mette decisamente ansia, ma, tanto per chiarezza e per rinfrescare l’arsura estiva, lo facciamo:
Tuffiamoci nel 2050. Li troveremo che il 60% degli Italiani non avrà fratelli, sorelle, cugini, zie o zii. La grande famiglia Italiana, con il papà che mesce il vino e la mamma che scodella la pasta su una tavola infinita ricolma di nonni e cugini e nipoti, sarà andata, sparita, puff…estinta come i dinosauri.

Un popolo che non si moltiplica non può andare avanti, in verità non può andare da nessuna parte. Quelli che andranno avanti sono coloro che daranno forma e numero all’epoca in cui viviamo.

Il declino demografico e l’insostenibilità dello stato sociale sono strettamente correlati. In America, i politici adirati per il deficit federale amano lamentarsi dicendo che stanno accumulando debiti che i loro figli e nipoti dovranno pagare. Ma in Europa le attribuzioni insostenibili sono in una condizione ancora peggiore: non ci saranno figli o nipotini a cui appoggiarsi.

Il concetto si potrebbe riformulare in questo modo:

Anzianità + Stato sociale = Disastro per te;

Gioventù + Volontà = Disastro per chiunque si metta sulla tua strada.

Per “volontà”, intendo la metaforica spina dorsale di qualsiasi cultura. Prendiamo come esempio il Rwanda, la sua principale identità è tribale, e la maggior parte delle sue tribù non hanno ambizioni globali. L’Islam, al contrario, ha serie ambizioni globali, ed esse costituiscono la prima, centrale identità della maggior parte dei suoi aderenti — in Medio Oriente, nel Sud-Est Asiatico e ovunque altro.

L’Islam ha gioventù e volontà, l’Europa ha anzianità e stato sociale.

Stiamo assistendo con i nostri occhi alla progressiva fine della democrazia basata sul welfare e lo stato sociale, così come lo conosciamo dal tardo 20° secolo. La sua bancarotta fiscale è semplicemente un sintomo di una bancarotta più importante: la sua “insufficienza” come principio guida per la società. I figli e i nipoti di passati fascisti e agguerriti repubblicani che hanno condotto un’aspra guerra civile per il futuro dello Spagna, ora si armano di gessetti colorati quando un gruppuscolo di stranieri jihadisti si fa esplodere nella loro capitale.
Troppo sedati anche soltanto per denunciarlo sulla carta, essi capitolano istantaneamente.

Dall’altra parte di questa equazione, troviamo il moderno stato multiculturale che resta un concetto troppo acquoso per riuscire a tenere insieme enormi quantità di immigrati, slegandoli dalla propria cultura/ideologia/religione a cui sono (quasi sempre) legati in maniera indissolubile, motivo questo per cui anche facilmente “radicalizzabili”.

Per gli stati in declino demografico con programmi sociali largamente lascivi, la domanda è molto semplice: siete in grado di guardare in faccia la realtà? Siete in grado di capire prima di invecchiare? Se la risposta è no, finirete i vostri giorni in società dominate da persone con una visione del mondo molto diversa dalla vostra.

E questo ci porta al terzo fattore: lo stato di noia del mondo Occidentale, la permanenza di nazioni troppo rilassate nel relativismo culturale che gli impedisce di capire qual é la posta in gioco.
Questo terzo punto è legato ai primi due. Agli Americani non appare sempre così evidente che vi sia un legame tra la “guerra al terrore” e il cosiddetto “problema del portafoglio” delle politiche domestiche. Così come vi è una correlazione tra la debolezza strutturale dello stato sociale democratico e il sorgere di un Islam globalizzato.
Lo stato ha gradualmente affrontato tutte le responsabilità e le problematiche della maturità adulta — la sanità, l’educazione e l’assistenza agli anziani, ma ha fatto dimenticare ai suoi cittadini quali sono gli istinti primari dell’umanità, primo tra tutti l’istinto di sopravvivenza. Nell’esempio americano, il “deficit” federale non è il problema; sono i programmi di governo a renderlo tale.
Essi corrodono, nel cittadino, il senso di affidamento su se stesso ad un livello potenzialmente fatale. Paradossalmente, un grande governo è una minaccia alla sicurezza di una nazione: esso aumenta la sua vulnerabilità ad un pericolo come l’Islamismo, e rende più improbabile che possa sorgere al suo interno la volontà di respingerlo.
Dovremmo aver imparato la lezione dell’11 Settembre 2001, dove un grande governo ha fatto flop.

I nemici che affronteremo in futuro avranno saranno transnazionali, globalizzati, localmente rappresentati, estensivamente ricorrenti a risorse esterne, tenuti insieme da una potente identità che scavalca frontiere e continenti. Non saranno stati/nazioni e non avranno intenzione nel diventarlo, sebbene potranno usare questa buccia come hanno fatto in Aghanistan prima, in Somalia e nello Stato Islamico oggi.
La jihad potrà anche essere la prima, ma altre deformazioni transnazionali imbracceranno le stesse tecniche. Le istituzioni come le Nazioni Unite e l’Unione Europea difficilmente potranno fornire risposte efficaci.

Si può discutere a quali conseguenze porteranno queste tendenze demografiche, ma affermare serenamente che non ne avranno è semplicemente ridicolo. La teoria demografica spiega, ad esempio, la differenza tra come viene vista e vissuta la “guerra al terrore” per gli Americani e come per gli Europei.
Negli Stati Uniti, la guerra è un qualcosa che va combattuto tra le insidiose sabbie del Triangolo Sunnita e le caverne del Kush Indiano; ci si reca in posti lontani e si uccidono stranieri.
Ma, in Europa, è una guerra civile. Neville Chamberlain congedò la Cecoslovacchia come “un lontano paese di cui conosciamo ben poco.” Questa volta, al giorno d’oggi, come per una larga parte dell’Europa Occidentale, il paese distante di cui si sa poco è il proprio.

Dopo quattro anni di “guerra al terrore”, l’amministrazione Bush presentò una riformulazione di questo concetto: “la lunga guerra.” Non fu un buon segno. In una guerra breve, si investe il proprio tempo e denaro in carri armati e bombe. In una guerra lunga, la scommessa migliore è sulla volontà e sulle risorse umane.
Più lunga diventa la guerra, e più difficile sarà, perché è una corsa contro il tempo, contro avversità demografiche, economiche e geopolitiche.
Per “demografiche”, intendiamo l’elevata natalità del mondo Musulmano, che in metà secolo darà al minuscolo stato dello Yemen una popolazione più numerosa di quella della vasta Russia.
Per “economiche” intendiamo la tempesta perfetta che gli Europei affronteranno entro il prossimo decennio, perché il loro stato sociale lascivo è insostenibile per i suoi livelli di nascita post-Cristiani.
Per “geopolitiche” intendiamo parlare dei rapporti tra le Nazioni Unite e altre organizzazioni internazionali che già oggi sono emotivamente ostili all’America, figuriamoci tra qualche anno per quando l’Europa sarà semi-Islamizzata.

Quasi tutte le sfide geopolitiche negli anni hanno avuto le loro radici nella demografia, ma non tutte le crisi demografiche si sono risolte allo stesso modo. Questo è ciò che rende qualsiasi possibile approccio al problema ancora più problematico: perché reazioni diverse di diversi paesi alle proprie circostanze domestiche, hanno, e hanno avuto nella storia conseguenze diverse, e per il paese stesso, e per la politica internazionale.
In Giappone, la crisi demografica esiste praticamente da defoult, ma non esiste nessun fattore complicativo; in Russia, questo sarà determinato dalle sue relazioni con un altro paese affollato: la Cina; e in Europa, i nuovi padroni si sono già insediati, come un inquilino con il diritto d’acquisto.

Cominciamo dal paese con la giurisdizione più geriatrica del pianeta. In Giappone, il Sol Levante è già arrivato alla prima fase del suo lungo tramonto: perdita netta di popolazione. Il 2005 è stato il primo anno in cui il paese ha avuto più morti che nascite. Il Giappone offre la possibilità di osservare la morte demografica di un paese nella sua forma più pura. E’ un paese senza immigrazione, senza minoranze significative e senza il desiderio di averne: soltanto i Giapponesi, che invecchiano e diminiuiscono.

All’inizio non sembra poi così male. Se vivi in un affollatto appartamento in una rumorosa e congestionata città, perdere un paio di centina di migliaia di persone sembra un compromesso accettabile. La difficoltà però, in un moderno stato democratico, è il capire quali persone perdere e quali no.
È il classico caso di un cane che si morde la coda.
La scarsezza di bambini porta alla scarsezza di ostetrici. La scarsezza di ostetrici porta a minori e insufficienti servizi alle gestanti. Così, parafrasando il primo esempio delle scuole, c’è solo da chiedersi: perché uno studente di una scuola media ambizioso e dotato di talento dovrebbe investire se stesso in un campus in precipitoso declino? Come conseguenza di tutto ciò, in alcune aree del Giappone, dare alla luce un figlio diventa una pura questione di tempismo.
Nell’isola di Oki, o rinunciate ad avere un figlio oppure dovete cercare di sincronizzare le contrazioni con il Lunedì mattina. Perché è solo in quel giorno che l’ala di maternità è aperta.
Solo il primo giorno della settimana dalle 10 di mattina, quando un’ostetrica vola fin là per prenderesi cura di qualsiasi donna incinta che passi da quelle parti. Alle 5:30 del pomeriggio se ne va. Così, se siete stati così imprecisi da organizzare la nascita di vostro figlio da Martedì a Domenica, dovrete salire su di un elicottero e andare a partorire altrove, senza neppure essere circondati dall’affetto dei vostri cari.
Forse la scuola di Lamaze su Oki insegna a sincronizzare la respirazione con il ronzio delle pale dell’elicottero?
Oki ha una popolazione di 17,000 anime, e ciononostante non ci sono ostetrici: quello del parto è un settore in fin di vita.

E allora cosa succederà?

Ne “I Figli degli Uomini”, la fiction futuristica di P. D. Janes su di un mondo desolato, vi sono bambole speciali per le donne i cui istinti materni non sono stati appagati. Queste aspiranti madri passeggiano per strada con i loro figli artificiali o li accompagnano sull’altalena nei parchi.
In Giappone, questo non è più un tema da mondi alternativi. All’inizio del secolo, i giocattolai del paese hanno dovuto affrontare il problema e fare i conti con la realtà: i giocattoli sono per i bambini ma il Giappone non ne ha molti. Che cosa fare?
Nel 2005, Tomy ha cominciato a commercializzare una bambola chiamata Yumel — un bebè con un vocabolario di 1,200 frasi progettato come compagnia per gli anziani. Dice le solite cose come “ti voglio bene”, ma fa anche domande che i nipotini farebbero, tipo: “Perché gli elefanti hanno nasi lunghi?”
Yumel trovò poi la compagnia di Snuffling Ifbot, un giocattolo progettato per avere la conversazione di un bambino di cinque anni che, con la classica efficienza Giapponese, i suoi creatori hanno stabilito essere abbastanza chiacchiericcio da poter impedire che i suoi acquirenti si sentano soli.
In una società infantilizzata ed auto-assorbita da se stessa in cui gli adulti sono stati spogliati di ogni responsabilità, non si ha mai bisogno di smettere di intrattenersi con i giocattoli. Noi siamo i figli che non abbiamo mai avuto.

Ma perché dovremmo lasciare le cose così come sono? Che continuino cosi? Non sarebbe maggiormente auspicabile che un numero sempre più ristretto di giovani voglia passare i propri anni verdi a prendersi cura di persone anziane? O sarà più semplice mettere a frutto la tecnologia avanzata Giapponese e prendere un diretto assieme a Mister Robot verso il futuro post-umano?
Dopo tutto, quale alternativa è la più semplice per la classe governativa? Scrostare una popolazione cullata da una vita comoda e re-insegnare loro il perduto impuslo biologico o dare alla Sony Corporation la licenza per diventare la Cloney Corporation? Se ci fosse bisogno di giustificarsi, basterebbe impugnare dei grafici e mostrare come il declino demografico sia universale.
E’ come l’industrializzazione di un paio di secoli fa; tutti la raggiungeranno prima o poi, ma i primi a farlo avranno notevoli vantaggi.
Nell’era industriale, la forza lavoro era critica. Nella nuova era tecnologica, la forza lavoro sarà opzionale. In qualità della società maggiormente avanzata e con la più minacciosa crisi demografica, il Giappone avrà probabilmente la prima giurisdizione ad abbracciare la clonazione e i robot ed imbarcarsi sullo scivoloso gradino del transumanesimo.

Dopo la rivoluzione americana del 1775, vi furono massicce migrazioni: alcuni neri Americani erano così preoccupati di restare leali sudditi di Re George III che si sono spostati fino alla Sierra Leone. Per queste persone, la loro identità primaria non era quella di un colono americano ma di un cittadino Inglese. Per altri invece, la loro nuova identità di americani aveva soppiantato la loro alleanza formale alla Corona.
La domanda per l’Europa di oggi è se l’identità principale della loro componente demografica in espansione sia Belga o Musulmana, Tedesca o Musulmana, Francese o Musulmana.

E’ qui che l’appartenenza alla civiltà entra in gioco: se la “Olandesità” o la “Francesità” sembrano essere un fattore debole ed ormai attenuato, sarà inevitabilmente l’identità più forte a prevalere. Si possono notare le similitudini tra l’America rivoluzionaria e l’Europa contemporanea: i Lealisti Imperiali Uniti erano vecchi e ricchi; i ribelli giovani e poveri. Alla fine, ai primi è mancata semplicemente la forza di volontà.

L’Europa, come il Giappone, ha tassi di nascita catastrofici e una classe governativa anziana e rilassata, determinata a vivere nella più completa e ostinata cecità della realtà economica. Ma a differenza dell’America rivoluzionaria, nel Vecchio Continente la popolazione successiva è già al suo posto e l’unica domanda è quanto sarà sanguinoso lo sfratto.

La popolazione “Musulmana moderata” dell’Asia del Sud è stata radicalizzata da una forma più pura di Islam; società precedentemente e formalmente non Islamiche come la Nigeria sono diventate semi-Islamiste; e grandi quantità di popolazioni Musulmane si sono insediate in zone d’Europa che avevano poca o nessuna esperienza in termini di immigrazione di massa.

Nel Vecchio Continente, come altrove in Occidente, le popolazioni autoctone stanno invecchiando e sparendo, e stanno venendo soppiantate da un’agguerrita giovane demografia Musulmana.

Ed eccoci arrivati al momento dei “naturalmente”:

Naturalmente, non tutti i Musulmani sono terroristi: anche se un numero più che sufficiente dimostra di avere un debole per la jihad e gestisce un’impressionante rete di moschee da Vienna a Stoccolma a Toronto a Seattle.
Naturalmente, non tutti i Musulmani supportano i terroristi, anche se molti di loro condividono i loro obiettivi fondamentali (la volontà di vivere sotto la legge Islamica in Europa e in America). Nessuno lo dice, ma questa rapida trasformazione demografica funziona come zona cuscinetto per la jihad, e vi gira intorno, tra l’altro.
In maniera ancora più profonda e subdola razionalizza le pretese dei terroristi che altrimenti sarebbero considerate folli.
Se un membro dell’IRA si fa esplodere in un pub a dispetto della realtà democratica, lo fa perché sa che al ballottaggio i Lealisti dell’Ulster vinceranno le elezioni e i Repubblicani Irlandesi le perderanno. Ma quando uno jihadista Europeo fa saltare qualcosa, questo non è a dispetto della realtà democratica ma un mezzo per crearne un’altra.

Ci fanno credere che sì, sono Musulmani, ma sono occidentalizzati e amano drogarsi, rappeggiare e fare sesso occasionale senza impegni emotivi. Che possono ribellarsi, saccheggiare, dare alle fiamme e distruggere, proprio come un qualsiasi normale teenager Occidenale in buona salute. Ma non è così.

Come ha scritto uno dei nostri corrispondenti, “Voi bastardi idioti di destra pensate che la jihad centri con tutto.” In effetti, non crediamo che tutto abbia a che fare con la jihad. Ma pensiamo, come abbiamo detto, che un buon 90% di tutto abbia a che fare con la demografia. Prendete, ad esempio, la caratterizzazione mediatica dei rivoltosi Francesi: “giovani”. Qual é il punto saliente di questi giovani? La giovinezza. Pochi ottuagenari vorrebbero andare a bruciare Renault tutte le notti. Non è facile centrare una stazione di polizia con una Molotov e poi allontanarsi saltellando sulle proprie gruccie prima che il calore dell’esplosione sciolga i supporti artificiali del ginocchio. La disobbedienza civile è un gioco per uomini giovani.

Nel Giugno 2006, un conducente di treni fiammingo di 54 anni chiamato Guido Demoor è salito sul bus numero 23 ad Antwerp per recarsi al lavoro. Sei “giovani” sono saliti sull’autobus e hanno cominciato ad intimidire gli altri passeggeri. C’erano 40 persone a bordo. Ma i “giovani” erano giovanili e gli altri passeggeri un pò meno. Ciononostante, Mr. Demoor ha chiesto ai ragazzi di tagliare corto e questi si sono accaniti contro di lui, pestandolo e prendendolo a calci. Di queste 40 persone, nessuno è intervenuto ad aiutare l’uomo aggredito. Invece, alla fermata seguente, 30 dei 40 hanno tagliato la corda, lasciando Mr. Demoor a morire per le percosse ricevute. Tre “giovani” sono stati arrestati, e sono stati identificati come – che sorpresa! – di origini Marocchina. Il capo della banda è scappato e, nonostante le rassicurazioni di completo anonimato, dei 40 passeggeri soltanto quattro si sono fatti avanti per parlare con gli investigatori. “Vedete cosa succede a mettersi in mezzo”, ha detto un collega delle ferrovie al giornale Belga “De Morgen”. “Se Guido non avesse aperto la bocca ora sarebbe ancora vivo.” (Vicende di questo genere ne succedono ogni giorno in tutta Europa).

E Guido, l’autista belga, anche se non avesse aperto bocca non sarebbe affatto “vivo”. Sarebbe morto comunque, quanto lo erano quei 40 passeggeri, e tutto il governo Belga, che hanno tenuto la testa bassa per evitare di guardarli negli occhi, coprendosi il capo con il giornale e sperando di essere lasciati soli. Che futuro avranno nel “loro” paese i due figli di Mr. Demoor?

Della popolazione etnica del Belgio, circa il 17% ha meno di 18 anni. Se ci limitiamo alla componente Turca e Marocchina, questa percentuale sale al 35%. I “giovani” diventano sempre più numerosi, i non-giovani diventano vecchi. Per evitare la spietata equazione aritmetica posta da Benjamin Franklin, è necessario che questi “giovani” si sentano più cittadini del Belgio. E’ probabile questo? Il Colonnello Gheddafi non la pensava così:

“Vi sono segni che Allah garantirà all’Islam la vittoria in Europa: senza spade, senza fucili, senza guerra. I cinquanta milioni di Musulmani in Europa la trasforemeranno in un continente Musulmano entro pochi decenni.”

Dopo l’attentato dell11 settembre 2011 l’Europa ha subito attentati di vario genere, alla metropolitana di Londra, le rivolte Francesi, gli omicidi in Olanda di politi di politici e registi, ai treni di Madrid etc… Dal 2014 ad oggi sono stati 51 gli attacchi in Usa ed Europa (senza contare quelli insabbiati dalle autorità per limitare l’informazione su questo problema). Tre quarti degli attentatori erano cittadini del Paese colpito: sudditi Britannici, cittadini della Rèpublique Français etc…

A Linz, Austria, i Musulmani chiedono che tutte le insegnanti donna, credenti o infedeli, indossino il velo in classe. Il Concilio Musulmano Britanico vuole abolire il giorno dell’Olocausto perché parla “solo” dell’Olocausto Nazista sugli Ebrei e non dell’Olocausto ancora in corso contro i Palestinesi.

E come reagisce lo Stato? A Siviglia, il Re Ferdinando III non è più il santo patrono della festa annuale perché il suo meraviglioso primato di combattere per l’indipendenza della Spagna dai Mori sembra peccare di insensibilità verso i Musulmani.
A Londra, un giudice ha acconsentito alla rimozione di tutti gli Ebrei ed Indiani dalla giuria di un processo perché il difensore degli imputati (Musulmani) diceva di non potersi aspettare un verdetto equo da oro.
La Chiesa d’Inghilterra sta considerando la possibilità di rimuovere S. Giorgio come suo unico patrono perché, secondo diversi esponenti del clero Anglicano, risulta troppo “militarsita” e “offensivo per i Musulmani”. Vorrebbero rimpiazzarlo con S. Alban, e sostituire la croce di S. Giogio con la croce di S. Alban: una flebile linea gialla.

Tra pochi anni, quando milioni di adolescenti Musulmani entreranno nelle cabine elettorali, alcuni paesi Europei non vivranno ancora formalmente sotto la sharia ma, come in molte parti della Nigeria, avranno raggiunto una forma di compromesso con i propri compatrioti islamicamente radicalizzati, che, come molti altri intolleranti, sono esperti nello sfruttare la “tolleranza” delle società pluraliste.
In altri paesi del Vecchio Continente, le cose potrebbero andare in maniera leggermente più tradizionale, anche se le conclusioni non saranno poi molto diverse. A prescindere dalle proprie opinioni a riguardo, il fatto è che nella storia la jihad è stata contrastata da avversari molto determinati. Lo spirito dei jihadisti non è cambiato, ma è cambiato il nostro: i jihadisti non si preoccupano di affrontare Israeliani e i Russi, figuriamoci se temono i Belgi o gli Spagnoli.

“Noi siamo quelli che vi cambieranno”, diceva l’imam Norvegese Mullah Krekar al quotidiano di Oslo “Dagbladet” nel 2006.
“Date un’occhiata alla situazione in Europa, dove il numero dei Musulmani aumenta come quello delle zanzare. Ognuna delle vostre donne occidentali in Europa sta producendo una media di 1,4 figli. Ogni nostra donna Musulmana, negli stessi paesi, sta producendo 3.5 bambini. Alla fine il nostro modo di vedere le cose si dimostrerà semplicemente più efficace del vostro.”