La pena di morte in Iran

I dati diffusi dal nuovo Rapporto Iran Human Rights, raccontano un record di esecuzioni capitali nel 2015 in Iran: 969 persone messe a morte, con un aumento del 29% rispetto all’anno precedente. Tra i giustiziati, sono 638 le persone messe a morte per reati di droga, 207 per omicidio. I detenuti impiccati in pubblico sono stati 57, e al patibolo sono finiti anche 3 rei minorenni e 19 donne.

In media sono state impiccate dalle due alle tre persone al giorno, con un picco di 139 persone messe a morte nel solo mese di giugno.

Va notato che il numero di reati punibili con la pena di morte in Iran è uno dei più alti al mondo: si può andare al patibolo per accuse come adulterio, incesto, stupro, ma anche possesso o la vendita di sostanze illecite, omicidio premeditato, truffa traffico di esseri umani e dopo la quarta condanna per furto. Sul versante religioso, la pena capitale può essere comminata per insulti al profeta Maometto e a altri grandi profeti, per il reato di Moharebeh («dichiarare guerra a Dio»), di ifsad-fil-arz («corruzione sulla terra»).

Il Rapporto diffuso da Iran Human Rights focalizza l’attenzione sulle esecuzioni per reati di droga, che rappresentano il 66% del totale. Ma le esecuzioni non hanno avuto un effetto deterrente sul traffico di droga e i problemi legati alla droga sono aumentati.

Secondo le autorità iraniane la «qisas» («legge del taglione») è un diritto privato che le autorità non possono negare o controllare. I parenti più stretti di una vittima di un omicidio, che abbiano raggiunto la maggiore età, possono decidere se il colpevole debba essere messo a morte o meno.

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