Bloggando il Corano: Sura 20, “Ta Ha”

Commento al Corano: Sura 20, Ta Ha
di ROBERT SPENCER (6, Aprile, 2008)

Ritorna all’Indice

Questa Sura, tra le prime sure Meccane, “non ha rivali” dice Muhammad Al-Ghazali, “nella sua inflessibile affermazione della Assoluta Unità di Allah”. Prende il nome dalle due lettere Arabe con cui comincia, ta () e ha (). Ibn Abbas e altri antichi commentatori hanno suggerito che ta ha (طه) fosse, in realtà, una frase di un antico dialetto Arabo, che significa: “Oh uomo!”, nel qual caso potrebbe darsi che qui Allah si rivolga direttamente a Maometto, così come fa nel  v. 2 — in cui, ancora una volta, consola il suo depresso profeta, dicendogli che non gli sta rivelando il Corano per angosciarlo. Tutto appartiene ad Allah (v. 6) che conosce tutti i segreti (v. 7), perché Suoi sono i nomi più belli – cioè, i più alti attributi (v. 8).

Poi i Versetti 9-99 raccontano una volta ancora la storia di Mosé, che è stata già affrontata nelle sure 2, 7, 10, e 17. Ma, come osserva Al-Ghazali, “ogni volta che la storia riappare, emergono nuovi particolari. Ogni versione presenta dettagli non inclusi nelle altre versioni”.Ma anche le parti ripetute hanno la loro utilità. Al-Ghazali fa anche notare che questa sura è molto interessata nel rammentare e nell’invitare i credenti a ricordarsi di verità che avevano già imparato: lo stesso Corano è un promemoria (v. 3); i credenti devono pregare regolarmente in modo da ricordarsi di Allah (v. 14); Mosé chiede ad Allah di dargli Aronne come aiutante, in modo che insieme, i fratelli possano lodarLo e ricordarLo senza interruzioni (vv. 29-34); Allah glielo concede, e lo ammonisce a non stancarsi di ricordarLo (v. 42); Allah ordina a Mosé di andare a parlare a Faraone in modo che forse Faraone si ricorderà di mostrare un po’ di timore di Allah (v. 44); Allah non dimentica mai (v. 52), ma il misterioso Samiri, dopo che modellò l’idolo in forma di vitello, dice al popolo che quello è il loro dio, ma che Mosé lo ha dimenticato (v. 88); Allah dice a Maometto che gli ha raccontato ancora tutta la storia di Mosé come un ammonimento a ricordare (v. 99); Allah ha dato al mondo il Corano per convincere la gente a ricordarsi di Lui (v. 113); Adamo dimenticò il suo patto con Allah (v. 115); nel Giorno del Giudizio Allah si dimenticherà di chi dimenticò i Suoi segni (ayat, o Versetti del Corano) in questo mondo (v. 126).

I Sufi sostengono che quando Mosè  si avvicinò al roveto ardente e udì la voce di Allah (vv. 10-17), egli raggiunse lo stato di fana, o assorbimento del proprio essere nella divinità, e di baqaa, cioè vita in unione con Allah. Le sue scarpe, sostengono, rappresentavano la sua separazione da Allah, ed ecco perché Allah gli dice di di toglierle (v. 12). Secondo Ibn Masud Baghavi in Ma’alimut-tanzil, ciò che Mosé vide non fu assolutamente fuoco, ma la celestiale luce (Nur) di Allah.

Ad ogni modo, Allah fornisce a Mosé un bastone che si trasforma in serpente (v. 20) e di una mano che diventa di un bianco brillante “senza segno di malattia” (v. 22), e lo manda ad affrontare Faraone. Allah esaudisce la richiesta di Mosé di prendere con sé Aronne (v. 36) e gli racconta la storia di come fu strappato al fiume “da uno che è Mio nemico e suo nemico” (v. 39) da bambino e quindi restituito a sua madre (v. 40). La storia è narrata come se gli ascoltatori fossero già informati a grandi linee della vicenda di Mosé dal Libro dell’Esodo.

Quando Allah dice ancora a Mosé e ad Aronne di andare da Faraone (v. 44), rispondono di essere spaventati “per paura che si scagli contro di noi con insolenza oltrepassando ogni limite” (v. 45). Allah ribatte che non devono aver paura, poiché lui è con loro, vede ogni cosa e sente ogni cosa – richiamando il messaggio consolatorio già rivolto a Maometto nei vv. 5-7. Così Mosé e Aronne compiono il loro dovere, ricordando a Faraone che Allah è l’unico Dio e ha “fatto per te la terra come un tappeto disteso” (v. 53), e che il castigo attende i miscredenti (v. 48). Ma Faraone rifiuta il loro messaggio (v. 56) e dice che può eguagliare i loro miracoli (v. 58). Però, quando i suoi maghi dichiarano la loro fede per Allah (v. 70), Faraone li minaccia con un linguaggio che stranamente allude al castigo raccomandato dallo stesso Allah (rivelato successivamente) per coloro che muovono guerra ad Allah e a Maometto (5:33): dice loro che li crocifiggerà, o amputerà una mano e un piede da lati opposti (v. 71). Evidentemente le punizioni sono adeguate – l’unico problema è chi le deve infliggere e per quale motivo.

Allah salva gli Ebrei da Faraone dividendo il mare così che loro lo attraversano sulla terra ferma (vv. 77-79). Mosé sale sulla montagna per incontrare Allah, ma non riceve i Dieci Comandamenti. Invece, Allah gli chiede perché si affretta su per la montagna, precedendo il suo popolo (v. 83) e gli rivela che sta mettendo alla prova il suo popolo, permettendo a Samiri di condurli fuori dalla retta via (v. 85). Mosé rimprovera Aronne per non aver fatto nulla quando li vide allontanarsi dalla retta via (v. 92). Samiri spiega che prese “una manciata (di sabbia) dall’orma del Messaggero” per modellare il vitello (v. 96). I commentatori Musulmani generalmente concordano che egli prese questa sabbia da una delle orme lasciate dal cavallo di Gabriele, dato che Gabriele guidava gli Ebrei in battaglia. Mosé punisce Samiri dicendogli: “La tua punizione in questa vita sarà che dovrai dire ‘non mi toccare’ (v. 97)”. Ibn Kathir spiega: “Ciò significa ‘Proprio come tu prendesti e toccasti quello che non era tuo diritto prendere e toccare dell’orma del messaggero, tale è la tua punizione in questa vita, che tu dirai ‘Non toccar(mi)’. Ciò significa ‘Tu non toccherai la gente e la gente non toccherà te’.” Ciò può essere un indizio che il termine “Samiri” significa Samaritano – un popolo che non si mescolava (e non si mescola) con gli stranieri.

I Versetti 100-112 ammoniscono a proposito del terribile Giorno del Giudizio. Quindi i Versetti 113-123 ci dicono che Allah ci ha inviato dal cielo un “Corano Arabo” così che la gente possa temerLo (v. 113) – questo è uno dei Versetti alla base dell’affermazione che il Corano è in essenza in Arabo e non può essere tradotto. Allah raccomanda a Maometto di “non affrettarsi (a recitare) il Corano prima che la sua rivelazione a te sia completa” (v. 114). Ciò perché, dice Ibn Abbas, Maometto avrebbe recitato le rivelazioni rapidamente, appena erano state rivelate, per cercare di ricordarle. Avrebbe dovuto invece confidare nel potere di Allah di farlo ricordare. Dopo ciò, il Corano torna alla storia della caduta di Adamo; Satana tenta Adamo perché mangi dall’Albero dell’Eternità (v. 120) – non dall’albero della conoscenza del bene e del male, come in Genesi. Allah espelle Adamo ed Eva dal Giardino, ma dice loro che coloro che seguiranno la sua guida non si smarriranno (v. 123).

I Versetti 124-135 concludono la Sura con ulteriori ammonimenti: i miscredenti risorgeranno ciechi nel Giorno del Giudizio (v. 125); Maometto deve essere paziente coi miscredenti (v. 130), poiché il loro castigo è imminente (v. 129); né Maometto deve invidiare le loro ricchezze terrene (v. 131); i miscredenti chiedono un segno, ma hanno ignorato tutte le precedenti rivelazioni di Allah (v. 133).

Ritorna all’Indice

  1. Muhammad al-Ghazali, Journey Through the Qur’an, 217.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.