Bloggando il Corano: Sura 12, “Giuseppe”

Commento al Corano: Sura 12, Giuseppe
di ROBERT SPENCER (20, Gennaio, 2008)

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Ecco un’altra storia biblica rifusa e rielaborata nel Corano. Come la stragrande maggioranza delle storie bibliche presenti nel Corano, viene impiegata per fare il solito scopo: dire che Maometto è un vero profeta, che viene maltrattato come tutti gli altri i profeti e che coloro che lo stanno ridicolizzando saranno severamente puniti.

La Sura 12, “Giuseppe,” è un’altra Sura del tardo periodo Meccano. Fu rivelata, secondo Maududi, “quando i Quraish” – gli Arabi pagani della Mecca e la tribù di cui Maometto era membro – “stavano considerando l’eventualità di ucciderlo, o di imprigionarlo o di esiliarlo”. Racconta la storia del patriarca Giuseppe, ancora – come abbiamo già visto nella Sura 11, con le storie di altri profeti – con un chiaro messaggio allusivo a Maometto e ai suoi oppositori.

Comincia, nei Versetti 1-3, con un altro panegirico sul Corano. Ibn Kathir esprime la principale interpretazione Islamica quando dice:

“La lingua Araba è la più eloquente, la più chiara, la più profonda e quella che meglio esprime il senso di quanto può comparire nella mente umana. Pertanto il Libro più prestigioso fu rivelato nella lingua più prestigiosa, al più prestigioso Profeta e Messaggero, recapitato dall’angelo più prestigioso, nella terra più prestigiosa, e la sua rivelazione iniziò nel mese più prestigioso dell’anno, il mese di Ramadan. Pertanto, il Corano è perfetto in ogni aspetto”.

Questa, ovviamente, non è una posizione che possa accogliere benevolmente un esame critico del Libro – come è recentemente comparso nei notiziari, con la scoperta di 450 bobine di pellicole fotografiche di antichi manoscritti del Corano.

Quindi i Versetti 4-101 raccontano la storia di Giuseppe. Secondo Maududi, uno dei principali scopi di questo racconto “fu di applicarlo ai Quraish e ammonirli che, alla fine, il conflitto tra loro e il Sacro Profeta sarebbe finito con la sua vittoria sopra di loro. Loro stavano perseguitando il loro fratello, il Sacro Profeta, allo stesso modo con cui i fratelli del Profeta Giuseppe lo avevano trattato… E proprio come i fratelli del Profeta Giuseppe si dovettero umiliare di fronte a lui, così un giorno i Quraish dovranno chiedere perdono al loro fratello, che ora stavano cercando di distruggere”. Egli sottolinea il Versetto 7: “In verità, in Giuseppe e i suoi fratelli ci sono i segni per chi ricerca”, che si riferisce ai Quraish che dovrebbero tener conto del monito fornito loro in questa Sura.

Il racconto Coranico di Giuseppe è una versione abbreviata della storia riportata in Genesi 37-50, con alcune importanti differenze rispetto al racconto Biblico. Giuseppe fa un sogno in cui undici stelle, il sole e la luna si prostrano davanti a lui (v. 4) – cioè i suoi genitori e i suoi fratelli. I sogni non devono essere presi alla leggera: secondo ‘Abdullah bin ‘Abbas, “i sogni dei Profeti sono rivelazioni di Allah”. Lo stesso Maometto spiegò che questo non si applicava solo ai Profeti, ma che era un principio generale:

“Un buon sogno viene da Allah, un cattivo sogno da Satana. Così, se qualcuno di voi vede (in sogno) qualche cosa che non gli piace, quando si alza deve soffiare tre volte (sul suo fianco sinistro) e cercare rifugio in Allah contro la sua sventura, in modo da non riceverne alcun danno”.

I fratelli, gelosi, lo vogliono uccidere (v. 9), ma, alla fine, decidono di buttarlo in un pozzo e di raccontare a loro padre, Giacobbe, che era morto (vv. 15-18). A differenza del racconto Biblico, qui Giacobbe non li crede (v. 18). Il Tanwîr al-Miqbâs min Tafsîr Ibn ‘Abbâs dice “non credette loro perché in un’altra occasione avevano raccontato che Giuseppe era stato ucciso dai predoni”.

Comunque, in seguito, Giuseppe, venduto come schiavo in Egitto, è l’oggetto di un tentativo di seduzione da parte della moglie del padrone (v. 30). Un altro dettaglio che non compare nel racconto Biblico è che Giuseppe “la desiderava” ma Allah allontanò “da lui il male e la lascivia. Ecco! Lui era uno dei Nostri schiavi scelti.” (v. 24). L’acuto dualismo insito nell’Islam appare evidente quando Maududi vede una lezione in questo episodio:

“Confronta i personaggi precedenti [Giacobbe e Giuseppe] plasmati dall’Islam sulla salda base dell’adorazione di Allah e sulla consapevolezza dell’al-di-là, con il successivo, plasmato dal kufr [miscredenza] e dalla “ignoranza” per l’adorazione del mondo e il disprezzo di Allah e dell’al-di-là …”.

Lei lo accusa di immoralità (v. 25), ma l’innocenza di Giuseppe diventa evidente quando si scopre che il suo manto è strappato sul dietro e non sul davanti – in altre parole, stava fuggendo da lei (vv. 27-28). Suo marito commenta: “Ecco! questa è l’astuzia di voi donne! Ecco! La vostra astuzia è molto grande!” (v. 28).

Quindi la moglie del principe organizza un banchetto per le donne della città, che sono così ammirate per il bell’aspetto di Giuseppe che cominciano a farsi tagli nelle mani (v. 31). Ibn Kathir spiega: “Esse lo ammiravano molto ed erano stupefatte da ciò che vedevano. Cominciarono a tagliare le loro mani per lo stupore a causa della sua bellezza, mentre credevano di tagliare il limone coi loro coltelli”. La moglie del principe si sentì assolta: “Quando avvertirono il dolore, cominciarono ad urlare e lei disse loro ‘ Voi avete fatto tutto ciò solo per una rapida occhiata a lui, così, come posso io essere rimproverata?”

Giuseppe, in conclusione, viene imprigionato (v. 35). Quando due suoi compagni di prigionia gli chiedono di interpretare i loro sogni (v. 36), prima di tutto, dice loro di essere un buon Musulmano: ha “abbandonato le vie della gente che non crede in Allah” (v. 37). Egli segue la religione di Abramo, Isacco e Giacobbe e “mai possiamo attribuire compagni ad Allah” (v. 38). Langue in prigione per un altro po’ di tempo, ma alla fine ha l’opportunità di interpretare il sogno del re (vv. 46-49). La moglie del suo padrone confessa infine la sua colpa (v. 51) e così Giuseppe è liberato e ricompensato (vv. 54-56). I fratelli di Giuseppe si rivolgono a lui per aiuto durante una carestia, ma senza riconoscerlo (v. 58); Giuseppe impone che gli portino il loro fratello più giovane (v. 60). Muhammad Asad spiega come la storia si svolge: “Giuseppe avrebbe voluto trattenere Beniamino con sé, ma, secondo la legge Egiziana, non poteva farlo senza il consenso dei suoi fratelli”. Ma, quando fu trovata la coppa nella borsa di suo fratello, “Beniamino sembrò colpevole di furto e, secondo la legge vigente, Giuseppe era autorizzato a reclamarlo come suo schiavo, e quindi a tenerlo nella sua casa”. Il punto centrale del racconto Coranico è che Allah dispone tutto ciò che accade e nessuno può ostacolare la Sua volontà: “Così dispose per Giuseppe. Non avrebbe potuto prendere suo fratello, secondo la legge del re, a meno che Allah non lo avesse voluto” (v. 76). Giuseppe svela la sua identità ai suoi fratelli (v. 90), che implorano il perdono di Allah (v. 91) e lo ottengono (v. 92, 98). Giacobbe e i fratelli vanno a vivere con Giuseppe in Egitto (vv. 99-100).

I Versetti 102-111 sottolineano che tutto questo è un avvertimento. Allah dice a Maometto di avergli rivelato la storia di Giuseppe “mediante l’ispirazione”, poiché Maometto non era presente quando i fratelli di Giuseppe complottarono contro di lui; così, come avrebbe potuto sapere che cosa era successo, se non era un vero profeta (v. 102)? E ancora, molti non crederanno (vv. 103, 105, 106), benché questo non sia un racconto inventato, ma una conferma delle Scritture esistente (v. 111) – Scritture che, ovviamente, con gran dispetto di Maometto, non hanno, in realtà, confermato il suo messaggio.

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