Il bottino di guerra nell’Islam

“Il Bottino” è il titolo della sura 8 del Corano, interamente medinese. Il primo versetto recita chiaramente “Il bottino appartiene ad Allah e al Suo Messaggero” (1:8).
Maometto deteneva dunque fondi pubblici e ne disponeva come meglio credeva; inoltre gli spettava automaticamente il quinto (khums) di ogni razzia di guerra. Secondo i testi autorizzati, coime il Kitāb al-maghāzī (“Libro delle razzie”) di Wāqidī (m. 823), la pratica del khums fu istituita a partire dalla battaglia di Badr nell’anno 624 (2 del calendario musulmano), quando tra i credenti vincitori sorse una disputa per la divisione del bottino; fu allora che discese il versetto citato. Soltanto più tardi si concluse un accordo citato al versetto 8:41: a Maometto spettava il quinto del totale delle finanze pubbliche, mentre il resto andava distribuito in parti uguali tra i membri delle varie spedizioni. Maometto aveva inoltre diritto a una “prima scelta” (safī), anteriore alla divisione generale. A Badr, il profeta di pace Maometto scelse una spasa. In molte occasioni preferì scegliere le schiave più belle e più giovani, come dimostra Sunan Abu Dawud Libro 20, Numero 66:

Qatadah disse, “Quando l’Aposto di Allah (saw) partecipava ad una battaglia vi era per lui una porzione speciale (del bottino) che egli sceglieva a suo piacimento. Safiyah era di quella porzione. Ma quando egli non partecipava di persona in una battaglia, una porzione veniva comunque riservata per lui, ma sulla quale non aveva scelta. [cioé, riceveva quello che veniva scelto per lui]

Si aggiungeva ancora per il Profeta una parte del bottino in qualità di guerriero, la quale triplicava se aveva combattuto montando un cavallo o un cammello.
Nelle sue Tabaqāt, Ibn Sa’d (m. 845) descrive Maometto intento a negoziare aspramente con i beduini perché gli versassero il khums in aggiunta alla parte normale di combattente e perché gli riconoscessero il diritto alla prima scelta.

Come vediamo la divisione del bottino veniva condotta in maniera ingegnosa: il bottino era ripartito in lotti di egual valore, e se per caso esso risultava diversificato, le prede di guerra potevano essere vendute all’asta alle truppe e ai mercanti. Tutta un’attività commerciale si era organizzata attorno al bottino e questo o quel credente ammassò in tal modo ricchezze colossali.

Nel caso di bottino frutto di accordo e non di vittoria, Maometto reclamava l’intero ammontare. Alcune fonti fanno allusione alle terre che gli spettarono per intero a Khaybar e a Fadak. Le fonti concordano ugualmente sul fatto che dopo la presa di Khaybar la situazione finanziaria del Profeta conobbe una significativa trasformazione; la sua accresciuta ricchezza si fece sempre più visibile, soprattutto per la considerevole quantità di mezzi militari (cavalli e armi) impiegati nelle spedizioni.

La questione del bottino e della sua ripartizione rientra nelle diatribe che scossero l’islam degl inizi. Il Corano in una serie di versetti successivi, giustifica il comportamento di Maometto. Secondo le fonti tradizionali egli accordava una parte del bottino ai soli guerrieri, escludendo ogni beduino non impegnato al servizio della “religione di Dio”. Fu solo sotto ‘Umar ibn al-Khattāb, il secondo califfo che regnò dal 134 al 23 dell’egira (dal 634 al 644), che tutti i membri della umma (comunità musulmana) poterono incassare una percentuale calcolata in base alla registrazione e alla ripartizione per tribù.

Tutti i trattati di jihād affrontano il tema del bottino quale problema rilevante e con dovizia di particolari. Autori fondamentali come Ibn Hazm in Spugna o Māwardī in Iraq concordano nel ritenere che i beni degli intedeli sono stati stabiliti per«l’arricchimento della umma». Per Nu’mān (m. 684), «tutto quel che la terra nasconde è stato attribuito da Dio alla sua fazione»; e per Ibn Hazm, «il Signore ha istituito la proprietà degli infedeli sui loro beni unicamente perché essa formi il bottino dei credenti». A partire da un insieme di versetti, si assiste a una teorizzazione completa: la nozione di bottino è sacralizzata poiché è Dio a fissarne il ruolo con un ordine proveniente da lui (59:6-7); essa ha anche una “funzione morale” poiché il bottino spetta agli Emigrati bisognosi che hanno perduto ogni cosa per seguire Maometto a Medina (59:8), per i quali esso rappresenta un contraccambio divino; il bottino è una ricompensa anche quando Dio, dopo aver respinto gli infedeli e «quelli della gente del Libro che avevano dato mano al nemico» senza che «nulla di buono» ottenessero, «vi fece eredi della loro terra e delle loro case e delle ricchezze loro» (33:25-27). Infine, tale nozione serve ad articolare tutta una morale specifica («perche questo fosse un Segno ai credenti, e potesse Egli guidarvi per un retto sentiero»; 48:15 e 19-20). Per converso, Dio rimprovera ai soldati musulmani di aver abbandonato la loro posizione per avventarsi sul bottino e dispularselo, il che ha permesso ai meccani di recuperare il vantaggio in occasione della battaglia di Uhud nell’anno 3/625 (3:152). E’ molto significativo al riguardo che diverse tradizioni profetiche parlino di spedizioni che “sono fallite” perche non hanno fruttato bottino.

I trattati di diritto offrono una classificazione teorica molto precisa, non basata sul Corano e neppure sulla Sīrat (la biogratia di Maometto), le cui informazioni, pur dettagliate, non sono sistematiche. Sotto i primi califfi si distinguono diverse categorie: nafal (pl. anfāl, il primo dei tre termini che designano il bottino nel Corano), cioè un’attribuzione supplementare di bottino, accordata a certi combattenti in aggiunta alla parte loro dovuta; ghanmīa (solo il plurale maghānim si trova nel Corano), cioè il bottino trasportabile ottenuto in seguito a un combattimento armato; fay’ (nel Corano si trova solo il verbo affine afā’a), cioè ogni preda strappata agli infedeli senza combattimento, per esempio terre e abitazioni; infine radkh (assente dal Corano), cioè ogni preda ottenuta sulle spoglie del nemico ucciso.  Anche se queste classificazioni possono apparire anacronistiche, la nozione di  bottino, nel suo principio, resta molto viva ai nostri giorni. I fondamentalisti la  inseriscono nelle loro rivendicazioni perché fa parte della parola di Dio. Così, in cassette diffuse in alcune moschee delle città europee si possono trovare formule di questo genere: «Porci di cristiani! Voi che insultate il Dio Onnipotente pretendendo che abbia una moglie e un figlio, voi che diffamate Dio presentandolo come uno di tre, il vostro duro castigo vi è assicurato! […] Sappiate che, vicini o lontani, giovani o vecchi, preti o monaci, con i vostri atti vi siete condannati a morte e alla perdita dei vostri beni. Il vostro sangue sarà a buon diritto versato dai musulmani e il vostro denaro ci appartiene».

Il jihād contro gli infedeli e i colpevoli di blasfemia si ritrova strettamente legato alla nozione di prede di guerra, viste come legittimo compimento della lotta stessa per il trionfo della Vera Predicazione.

Dizionario del Corano, Amir-Moezzi M. A, pag. 134.

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