Lo spirito della Grecia nella «Casa della Saggezza»?

Casa della saggezza

Secondo diversi autori, nel IX secolo gli Abbasidi crearono un Bayt al-Hikma, una «Casa della Saggezza», che avrebbe riunito sapienti di ogni confessione e disciplina. Questa «casa» avrebbe assicurato tutte le traduzioni dei testi greci sotto la direzione di un triumvirato: un persiano musulmano, un ebreo e un cristiano (Yuhanna ibn Masawayh).

Alla base di questa storia si trova un racconto inserito da al-Nadim nel suo Fihrist, che racconta come al Ma’mun, avendo visto Aristotele in sogno, avrebbe deciso di far tradurre la scienza greca in arabo… Che credito accordare all’autore, libraio di professione e innamorato dei libri, il cui testo è posteriore di oltre centocinquant’anni ai fatti narrati?
Affidandosi ad al-Nadim e al passaggio in cui Sa’id al-Andalusi tesse l’elogio di al-Ma’mun, Mohammed Arkoun associa l’arrivo delle opere greche all’edificazione del Bayt al-Hikma, descritto in questi termini:

Astronomi, matematici, pensatori, letterati, traduttori lavoranoe si riuniscono nella Casa della Saggezza […]. Le collezionidi questa biblioteca principesca aperta all’élite illuminata si arricchiscono di testi greci recentemente tradotti. Luogo di consultazione, di ricopiatura, di incontro, il Bayt al-Hikma assicura la diffusione del sapere antico: Aristotele, Platone, Ippocrate, Galeno, Tolomeo, Dioscoride, Euclide, tutti i grandi nomi della filosofiae della scienza greca sono ormai introdotti in terra d’Islam. Un fatto che suscita curiosità nuove e promuove con forza la ragione come mezzo e garante della conoscenza.

Studi più approfonditi hanno corretto questa visione, il cui entusiasmo deve essere temperato attraverso un ritorno alle fonti contemporanee ai fatti. E’ significativo a questo riguardo studiare l’elogio che Sa’id al Andalus tesse del califfo al-Ma’mun. Mostra un sovrano circondato di «sapienti» e che li «ammetteva nella sua intimità, li riceveva in udienza particolare, amava consultarli, si compiaceva di parlare con loro». Sa’id al-Andalus precisa di quali sapienti si trattava:

Questo fu fino alla fine il modo d’essere di questo califfo con tutti gli eruditi, i giureconsulti, i tradizionalisti, i teologi razionalisti, i lessicografì, gli annalisti, gli esperti di metrica e i genealogisti.

Si riconoscono senza fatica in questa enumerazione i dotti nel senso musulmano del termine: ulema, giuristi, storici. I tradizionalisti sono gli specialisti dell’hadith, il racconto che riporta frasi o gesta di Maometto, attestato da una lunga catena di testimoni, di «garanti»; i teologi razionalisti rappresentano la corrente mutazilita, sono cioè degli esegeti coranici. La scienza dei lessicografi permette loro di padroneggiare la lettura del Corano, mentre quella dei genealogisti serve a redigere i Tabaqat, le biografie cosi diffuse nell’Islam. Al-Ma’mun si è circondato e ha onorato il mondo dello ‘ilm, l’insieme delle scienze coraniche, non quello della scienza speculativa greca. Né filosofi, né matematici, né fisici sono evocati.

La reputazione della Casa della saggezza è di conseguenza in parte una leggenda, creata dagli ammiratori degli Abbasidi, in particolare dei mutaziliti, nella cui trappola lo storico deve sforzarsi di non cadere. Occorre, secondo le parole di René Marchand, «individuare la storia dietro la vernice della storia ricomposta».

A quale bisogno si adattava il Bayt al-Hikma e quale era la sua natura? A queste domande Marie-Geneviève Balty-Guesdon ha fornito risposte precise e solidamente documentate. Sotto Harun al-Rashid, questa «casa» era una biblioteca privata a uso del califfo e del suo più stretto entourage. Essa si apre ai colti soltanto con al-Ma’mun, ma è allora riservata a musulmani specialisti di Corano e astronomia, come Yahya ibn Abi Mansur, al-Khawarizmi e i fratelli Banu Musa. Non ha mai accolto né cristiani né ebrei. Lungi dall’essere un luogo di incontro tra le religioni o di elaborazione di un sapere filosofico, dentro di essa si rifletteva sulla natura del Corano, nel momento in cui andava affermandosi la corrente mutazilita: secondo la testimonianza del Kitab al-Hayda di ‘Abd al-Aziz al-Kinani, vi si sarebbe tenuta una riunione tra tradizionalisti, giuristi, lessicografi e teologi mutaziliti.

Vi furono realizzate alcune traduzioni, probabilmente già a partire dall’epoca di Harun al-Rashid, in particolare sotto l’egida del persiano Salm, che tradusse in arabo opere persiane e fu il primo direttore del Bayt al-Hikma. Tuttavia la Casa della Saggezza fu lontana dal centralizzare l’insieme delle traduzioni portate a termine sotto gli Abbasidi, che, così come l’insegnamento della medicina o della filosofia, si praticava sempre in modo sparso, in privato, nelle case private delle persone di cultura. Il potere del califfo interferì poco in questo settore, anche se al-Ma’mun incaricò Hunayn ibn Ishaq di verificare le correzioni degli altri. Mai, in ogni caso, si videro i grandi traduttori cristiani o sabei associati alla Casa della saggezza. Hunayn ibn Ishaq non ne parla in alcuna occasione e niente prova la tesi, spesso ripresa, secondo cui egli avrebbe diretto questa istituzione. Ciò conferma che essa non ha giocato alcun ruolo nel lavoro di traduzione dei testi scientifici e filosofici greci, e ancor meno in una qualche immaginaria collaborazione tra dotti dei tre monoteismi.

Allo stesso modo, la Casa della Saggezza non fu un luogo di insegnamento, né tanto meno un’università: soltanto i tre fratelli Banu Musa, affidati al califfo dopo la morte del loro padre, vi trovarono rifugio e compirono lì la loro formazione scientifica. Dopo l’ascesa al potere di al-Mutawakkil nell’847 e la proibizione definitiva di discutere della natura del Corano, la Casa della Saggezza tornò a essere una semplice biblioteca e a partire dal X secolo la sua attività sembra svanire. Il Bayt al-Hikma, la Casa della saggezza, è all’origine di una leggenda, molto seducente, ma che resta una favola.

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