L’islam è un muro che imprigiona le società

Nonostante le variazioni tra le diverse correnti, gruppi o scuole musulmane, nell’islam c’è un’essenza eterna e immutabile, radicalmente diversa da tutto ciò che è occidentale. A differenza dei testi biblici o filosofici, il Corano non narra, ma proclama, con Dio stesso che parla attraverso Gabriele per far scendere un testo conforme a un archetipo immutabile e increato, conservato su una tavola celeste. Questo archetipo detta le leggi e i comportamenti precisi che ogni musulmano sulla terra deve seguire senza alcuna possibilità di scelta.

Nell’islam, lo sforzo più razionale che un musulmano può compiere è quello dei mutakalimmun, esperti della scienza del kalam (teologia dogmatica) e del fiqh, che studiano come applicare correttamente ciò che è scritto nel Corano. A livello esteriore, indicano cosa si può fare e cosa non si può fare basandosi sulla speculazione teologica, fornendo un ordine esauriente per ogni aspetto della società musulmana.

In tutte le scuole islamiche di diritto, l’interesse centrale è per la giustizia e l’ortoprassi. Le pratiche giuste e sbagliate vengono fissate così nella sharia.

In questo quadro, è essenziale ricordare il ruolo della shahada (testimonianza di fede), che è l’atto essenziale con cui si attesta di sottomettersi ad Allah (islam = sottomissione). Nel momento in cui una persona diventa musulmana, si impegnano a seguire i quattro pilastri e ad osservare la sharia. Per avvicinarsi alla perfezione su questa terra e al paradiso nell’aldilà, è sufficiente continuare ad avere fede e seguire ciecamente le indicazioni dei sapienti (taqlid).

Uno degli obblighi che ogni musulmano deve rispettare è la Hisbah (“obbligo di sorveglianza”), che consiste nell’impedire che un confratello compia azioni vietate dalla Legge sottraendosi agli obblighi prescritti dalla sharia. Questo corrisponde all’obbligo di “comandare il Bene e proibire il Male” che incombe sull’autorità in un paese islamico, attraverso il controllo esercitato dal Muhtasib, una sorta di polizia dei costumi.

Se aggiungiamo anche la negazione del libero arbitrio (come lo intendiamo in occidente), il cerchio si chiude in un muro invalicabile, senza possibilità di uscita, al di là del quale c’è l’apostasia (con conseguenti condanne) e un’esistenza vissuta nell’errore indipendentemente da tutto.

All’interno di questo confine, vi sono regole arcaiche prescritte nell’Arabia del VII secolo, che riguardano ogni minimo aspetto della vita del fedele: il diritto di successione, come stipulare un contratto e persino come vestirsi, sedersi o dormire su quale fianco, oltre al modo corretto di lavarsi le parti intime, ecc. Tutte queste norme sono ritenute sacre e inviolabili, indipendentemente dal tempo, e se messe in pratica, rendono le società simili al deserto arabo, arido e ostile.

Proviamo a immaginare la vita quotidiana di un “buon musulmano”, che sa perfettamente cosa deve fare per ogni sua azione e a cui è vietato riflettere su ciò che è giusto o sbagliato perché c’è qualcuno che ha già stabilito al suo posto come comportarsi in ogni caso specifico, anche il più insignificante, arrivando persino a indicargli con chi fare amicizia e con chi no (Corano 3:28). È evidente che con questo tipo di casistica giuridica che si pronuncia su ogni aspetto della vita, la capacità razionale viene inevitabilmente, e oserei aggiungere volontariamente, soffocata.

La ripetizione di singole norme della sharia e il tormentarsi per possibili mancanze frenano la ragione e impediscono l’attenzione a tutte le sfumature che determinano la vita sociale di ogni individuo. La presenza così pervasiva dell’islam nella vita degli individui finisce per frenare qualsiasi cambiamento sostanziale nella società. Gli individui musulmani sono spinti a chiudersi tra loro e a considerare dannoso ciò che sta al di fuori del “confine islamico”. L’islam arriva persino a ostacolare l’esplorazione attraverso la fantasia. Un musulmano comune che cerca di capire cosa possa esserci di interessante nella lettura di un romanzo di Dostoevskij compie un’azione haram (proibita).”

Islam freno al progresso

Islam e democrazia. La paura della modernità, di Fatima Mernissi, pag. 118

È per questo motivo che l’islam, quale impressionante sistema politico, è stato in grado di lasciare un’impronta su vaste aree di questo pianeta e al contempo ha frenato lo sviluppo delle società presenti nei territori conquistati.

Esistono anche diverse culture all’interno dell’islam, ma ciò è dovuto a una maggiore o minore osservanza e al fatto che la religione viene praticata in modi diversi in luoghi differenti, poiché non esiste un’autorità centrale che stabilisca cosa fare. Tuttavia, nelle linee generali, le culture islamiche sono sostanzialmente simili, con differenze secondarie, e tutte accomunate da un notevole arretramento, anche nelle regioni ricche grazie ai “petrodollari”. Attraverso ordinanze e divieti, il contesto sociale derivante dalle circostanze e dalle usanze si conforma alla Legge stabilita nel Corano e nella Sunna. È innegabile che il Corano abbia avuto un’enorme influenza sulla formazione della mentalità dei musulmani, nonostante le loro differenze etniche, e come le varie nazioni musulmane abbiano sempre cercato di allineare i propri ordinamenti civili (e religiosi) a esso.

L’islam è strettamente legato a una cultura “arabizzante” specifica e a un’organizzazione politica precisa: togli il potere politico all’islam e distruggerai l’islam. Una società veramente laica non ha mai avuto radici nell’islam; al massimo può sorgere un potere che non trova la sua legittimazione nel Corano, ma prima o poi si scontra con la società islamizzata e deve lasciare tutte le questioni sociali nelle mani dell’islam e della sua visione del mondo. È evidente che un potere del genere, per sopravvivere, deve essere dittatoriale.

In sintesi, la sopravvivenza dell’islam è legata alla predominanza assoluta. Solo Allah detiene la legge e non esiste alcuna sovranità popolare. Il compito dello Stato (quando esiste) sarà esclusivamente quello di applicare il diritto musulmano.
Si comprende bene che una restrizione così totale delle libertà e delle responsabilità individuali non può fare altro che frenare la società in tutti i suoi aspetti. Impedire una svolta verso l’individuo libero significa privare la società di ogni possibilità di sviluppare un umanesimo simile a quello occidentale. Non può esserci un Rinascimento come preludio a un progresso verso la civiltà.

Il 29 marzo 1883, il filosofo francese Ernest Renan, in conferenza alla Sorbona sostenne:

“Chiunque sia sommariamente aggiornato sulle questioni del nostro tempo vede chiaramente l’inferiorità dei Paesi musulmani, la decadenza degli Stati governati dall’Islam, la nullità intellettuale delle razze che traggono la loro cultura ed educazione unicamente da questa religione. Chi è stato in Oriente o in Africa è colpito dal limite fatale che imprigiona la mente di un vero credente, da questa specie di cerchio di ferro che serra la sua testa rendendola completamente refrattaria alla scienza, incapace sia di apprendere sia di aprirsi a nuove idee” (Ernest Renan, L’Islam et la science, pag. 22-23)

E definì l’islam:

“la catena più pesante che l’umanità abbia mai portato” (Ernest Renan, L’Islam et la science, pag. 38)

In conclusione, l’islam, per quanto complesso e diversificato possa apparire, contiene un nucleo fondamentale e immutabile. La sua influenza è tangibile in molteplici sfaccettature della vita dei credenti, plasmando sia le leggi che i comportamenti.

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