Il Corano è davvero inimitabile?

Secondo i musulmani la prova principale del fatto che il Corano è la Parola di Allah sarebbe la sua inimitabilità (al-i’jaz): una caratteristica unica del Corano. Per i musulmani nessuno può essere in grado di produrre un libro che corrisponda alla sua bellezza, eloquenza e saggezza. Il Corano stesso sfida l’umanità a produrre anche solo un capitolo simile (17:88; 10:38). Secondo i musulmani nessuno è mai stato in grado di farlo e nessuno mai ci riuscirà.

 Di’: “Se anche si riunissero gli uomini e dèmoni per produrre qualcosa di simile di questo Corano, non ci riuscirebbero, quand’anche si aiutassero gli uni con gli altri”. (Sura 17:88)

 Oppure diranno: “È lui che lo ha inventato”. Di’: “Portate una sura simile a questa e chiamate [a collaborare] chi potrete all’infuori di Allah, se siete veritieri”. (Sura 10:38)

  •  Al tempo della rivelazione del Corano, come del resto anche oggi, esistevano lingue più eloquenti e ricche di termini dell’arabo, come ad esempio la lingua greca presso i bizantini, il persiano presso i persiani, il siriaco presso gli abitanti di Edessa e i siriaci, l’ebraico presso gli abitanti di Gerusalemme, gli ebrei. Tant’è vero che Allah (o chi per lui) ha avuto il bisogno di attingere da altre lingue per creare il testo sacro dei musulmani. Chi possiede espressioni eloquenti, in qualsiasi lingua, non ha bisogno di prenderne in prestito da altre né ha bisogno di utilizzarle in allocuzioni e discorsi; non fa ricorso ad altre lingue grazie alla conoscenza e alla eloquenza della propria.
  • Il Corano è pieno di errori di ortografia e di termini scritti in un modo in un versetto e scritti in un altro modo in altri versetti. Per un approfondimento più accurato di questo punto rimandiamo il lettore a questo post.
  • Molti poeti contemporanei, precedenti e successivi a Maometto, hanno composto versi, dalle misure sempre esatte, scegliendo parole pure, chiare, arabe e autentiche, disponendo con eleganza i bei concetti più perfetti nelle regole, più esatti nella costruzione del Corano in prosa rimata rotta, infarcito di discorsi contraddittori e di termini magniloquenti ma privi di significato. Musaylima al-Hanafī1, al-Aswad al-‘Anasī e Tulayha al-Asadī, Imrū’ al-Qays ed altri poeti produssero opere simili a quelle di Maometto. Le espressioni di tutti loro sono più eloquenti, più fini e sottili di quelle usate nel Corano. Del resto Maometto riconobbe le loro qualità. Egli disse «Ché son gente amante di lite»2; essi lo sopraffecero nella contesa con argomentazioni più forti giacché erano avversari più corretti nell’argomentare, più efficaci nel controbattere. Maometto stesso disse: «vi è eloquenza vicina alla magia»3.
    Nonostante ciò Maometto riuscì a raggiungere il successo perché poté parlare agli illetterati: nabatei, abietti, barbari, beduini e zoticoni. Essi, non appena ebbero tra le loro mani “la parola di Allah“, che non comprendevano nella sua interezza, la ritennero autentica.
    Nel periodo successivo la sua morte, il più grande poeta arabo Abū l-Ṭayyib Aḥmad ibn al-Ḥusayn (m.965) fu imprigionato per avere preteso di poter fare un Corano simile a quello di Maometto. Fu liberato soltanto dopo aver dato prova di pentimento sincero, ma si continua a chiamarlo al-Mutanabbī (“il presunto profeta”).
    La figlia di il kindita, fatta catturare da Maometto e condotta da lui, disse: «Una regina sotto un uomo del popolo!». Mentre i Qurayš erano commercianti, gente del popolo, i Kinda erano dei re e regnavano sugli altri arabi. I Kinda erano uomini forti, eloquenti, persuasivi, oratori, poeti, uomini di stato, capi d’eserciti, possessori di bestiame e di ricchezze a tal grado che gli stranieri, bizantini o persiani, desideravano imparentarsi con loro e si vantavano di offrire loro le proprie figlie. Quanto ai qurayšiti e, in particolar modo, agli hāšimiti, avevano una superiorità, una grandezza e una nobiltà innegabile. Lo stesso si può affermare riguardo a tutti gli arabi e alle restanti tribù ché possedevano l’onore e la preminenza per merito e nobiltà. Ciò dimostra che quando la perfezione del Corano veniva esaminata dalle persone più acculturate, essa veniva respinta, a differenza di quanto avveniva con le persone illetterate.

Invero i musulmani non hanno mai saputo dimostrare la perfezione del Corano e la sua inimitabilità. In questo libro non vi è nulla che non fosse già stato detto o scritto prima, in forme molto più chiare e precise.

Niente rende il Corano migliore di altre opere importanti, come ad esempio le poesie di Omero, che contengono mirabili nozioni di medicina che giunsero a Galeno, il quale le raccolse e vi imbastì un’opera dal titolo Il libro di Galeno sulla medicina di Omero.

L’unico modo in cui il Corano si antepone veramente alle opere ad esso contemporanee, è per la composizione in versi NON quantitativi. Nessuno infatti ha mai composto qualcosa in versi così disordinato e incoerente. Ciò è evidente dalle numerose espressioni che, secondo la CONVENIENZA delle rime, sono scomposte in maniera del tutto arbitraria.

Come Tūr Sīnā’: una volta dice Tūr Sīna’ e un’altra Tūr Sīnīn. Il primo caso si trova in Corano 23:20, il secondo in 95:2. In entrambi si intende il monte Sinai.

Oppure dice “Ilyās fu uno degli Inviati” e altrove dice “piace su Il Yāsīn”. Corano 37:123 e 130, entrambi i casi relativi alla figura di Elia.

Allo stesso modo si comporta con Mosè e Arionne, per lo più nell’ordine dei nomi. Antepone Mūsā e Hārūn, ma QUANDO HA BISOGNO di una rima che termini in “ā”, cita prima Hārūn e poi Mūsā. Si veda Corano 20:70.

Su questo ci sarebbe ancora molto da aggiungere.

1. Musaylima, propostosi come capo dei Banū Hanīfa e postosi in concorrenza con Tumama, pretese essere profeta nella regione del Yamāma (631/632 – 633/634). Avrebbe voluto fondare un regno dipendente da quello bizantino, persiano e medinese; scrisse a Maometto per definire le zone di influenze rispettive. Predicava il regno dei cieli, la Resurrezione e il Giudizio finale, utilizzando il sa’ğ, prosa rimata, come nelle prime sure meccane. Fu messo a morte da Abū Bakr nel 632. Il secondo fu capo della prima ridda scoppiata in Yemen nel 632. Pretese di essere un kāhin e di parlare in nome di Allah o d’al-Rahmān. La sua sovranità durò un paio di mesi, finì ucciso, pare, da tre suoi collaboratori prima della morte di Maometto (632). Il terzo fu anch’egli capo della ridda e anch’egli più un indovino che un profeta. Fu sconfitto nel 632. (Cfr. Annali dell’Islam, II,354-356, 604-618, 672-685).

2. Corano XLIII,58.

3. Si veda Buhārī, Tibb. 51; Nikāh, 47; Abū Dā’ūd, Adab, 86,87; Tirmidī, Barr, 79; Dārimī, Salāt 199; Mālik ibn Anas, Kalām, 7; Ahmad ibn Hanbal, I,269,273,303,309,313,327,397,404; II,16,59,63,94; III,47 e IV,263; Wensinck s.v. Bayān.

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